COS’E’ LA PAURA?

 

La paura è un’emozione potente e utile. E’ la normale risposta ad una minaccia. E’ stata selezionata per permettere di prevenire i pericoli ed è quindi funzionale ad evitarli. La sua funzione è adattiva, come per tutte le emozioni, ed ha permesso l’evoluzione della specie. Permette di valutare il pericolo, di attivare un comportamento, di comunicare con gli altri membri della propria specie, di adattarsi all’ambiente, nel migliore modo possibile.

Le emozioni negative sono particolarmente utili proprio perché si presentano di fronte ad un pericolo, una minaccia, e ci fanno attivare immediatamente per sopravvivere. In questo momento storico è grazie alla sana paura che stiamo adottando nuove abitudini come ad esempio, lavarci accuratamente le mani per evitare il contagio.

QUANDO LA PAURA NON E’ UTILE

 

Nella situazione attuale la paura spesso però, diventa angoscia, panico e finisce per danneggiarci. In assenza di informazioni certe, con il cambiamento repentino della nostra quotidianità, i progetti messi in stand by, la preoccupazione per la nostra salute e quella dei nostri cari, l’isolamento o al contrario la forzata convivenza, la mente è portata a rimuginare in continuazione. Questi pensieri producono angoscia e siamo portati a reagire. Questa reazione però è spinta da pensieri catastrofici e negativi sul futuro. Perdiamo il contatto con il soggetto del pericolo, rischiando di ingigantirlo, di trasformarlo in qualcosa di irreale e incontrollabile. La paura che si trasforma in ansia, in questi casi è disadattiva, facendoci agire impulsivamente senza riflettere e facendoci fare gesti sconsiderati come la cronaca quotidiana ci sta raccontando: persone positive che fuggono in un’altra regione, situazioni di violenza e pestaggi. Mentre la paura è il frutto di un ragionamento logico, l’acting out è impulsività e non ha piena aderenza alla realtà.

Rispondere in maniera logica ad una domanda probabilistica come quella del futuro, scatena un circolo vizioso con un grande dispendio di energie. Il fatto è che il futuro non è prevedibile e cercare di rispondere in questi casi non fa altro che alimentare i nostri dubbi invece di risolverli. Diceva Kant che non esistono risposte intelligenti a domande stupide. Per questo motivo in questi casi è utile bloccare le risposte. Solo così possiamo evitare di entrare nel loop dei nostri pensieri catastrofici. Questi pensieri continui apparentemente sono orientati alla soluzione ma si riducono solo a pensieri soffocanti che paralizzano l’azione e amplificano le emozioni negative. La persona si ritrova a ad organizzare qualsiasi percezione e informazione mediante il filtro e la lente deformante della paura.

Questa ruminazione mentale è considerata una strategia di evitamento emozionale. Questo è uno stile cognitivo che porta ad un alto rischio di sviluppare fenomeni depressivi. Questo continuo pensare e cercare di informarsi per mantenere il controllo, riduce temporaneamente l’intensità delle emozioni e fornisce momentaneamente sollievo, illusione della salvezza dalla paura. In realtà dobbiamo considerarlo un vero complicatore di problemi.

 

QUANDO I PENSIERI NEGATIVI SONO CONTINUI

 

Si crea un circolo vizioso di malessere fatto di apprensione, irrequietezza, palpitazioni, tremori, difficoltà a respirare normalmente. Se poi queste manifestazioni iniziano a presentarsi quotidianamente il sistema immunitario si indebolisce e il rischio di patologie aumenta (sia fisiche che psicologiche).

Per le emozioni vale lo stesso principio di “Archimede”: negare di avere paura equivale a ricevere una spinta dal basso verso l’alto pari alla forza che abbiamo impegnato per negarla. più la reprimiamo quindi e più le diamo forza, rischiando di farla diventare angoscia e terrore.

Una paura può essere affrontata, ma l’ansia, l’angoscia e le fobie hanno bisogno di essere “addomesticate”. Cercare di diventare consapevoli del nostro dialogo interno, dello stile cognitivo che utilizziamo può essere utile. E’ altresì funzionale avere un atteggiamento di ascolto e di accoglienza verso le nostre emozioni senza giudizio. E’ normale provarle, siamo esseri umani… Dopo averle accolte e riconosciute è importante lasciarle andare senza tentare di risolverle, controllarle o nasconderle.

E’ fondamentale trovare la capacità di innescare attivamente un equilibrio di fronte a questi eventi. La sana paura ci protegge e ci fa adottare soluzioni responsabili.

LA RESILIENZA COME RISORSA

 

In questi casi ci viene in soccorso la resilienza. La resilienza ha a che fare con l’abilità di un individuo a superare in modo efficace le situazioni avverse, di risollevarsi dopo una crisi, di rinascere dopo un trauma, adattandosi alle nuove circostanze. La resilienza non coincide con la resistenza. Essere resilienti non significa resistere a tutti i costi, senza farsi scalfire, ma essere flessibili, sapersi piegare senza spezzarsi, per poi rialzarsi.  Significa non rassegnarsi alla passività sentendoci in balia del destino. Cosa cambierebbe se provassimo a porci di fronte alla percezione del pericolo che la situazione ci sta facendo vivere non solo come una minaccia ma anche come una sfida?

COME AFFRONTARE LA PAURA DELL’INCERTO STRUTTURANDO LE NOSTRE GIORNATE

 

Tutto parte dalla nostra capacità di strutturare il tempo. Berne parlò dell’importanza della strutturazione del tempo della nostra vita come fonte principale di malessere o di benessere: mantenere dei sani rituali e passatempi, continuare a restare attivi, sono alla base del nostro sistema endorfinico e quindi del nostro benessere fisico, mentale ed emotivo. Quando si fa attività fisica, ad esempio, l’organismo produce una quantità di endorfine fino a cinque volte superiore rispetto a quando è a riposo. Le endorfine, conosciute anche come “ormoni della felicità”, sono una fonte di benessere per il corpo e per la mente.

E’ importante quindi in questo periodo di quarantena cercare di coltivare pensieri positivi, di distrarsi dalla problematica facendo attività piacevoli. Coltivare le relazioni sociali anche a distanza, leggere, fare sport, ballare e mantenere il più possibile una routine, avere un’alimentazione sana, non parlare solo di Coronavirus…

Lo stato di paura invece, fa rilasciare il cortisolo, che non a caso è chiamato l’ormone dello stress. In realtà il cortisolo è un’arma di difesa che il nostro organismo mette in atto. Il cortisone però, a seguito di uno stress prolungato, indebolisce alcuni anticorpi che provocano un’infiammazione. Quindi nel breve termine il rilascio di cortisolo è utile, ma a lungo andare ci fa entrare in una spirale che ci fa diventare più sensibili alle infezioni, sia esse di natura virale che batterica.

Alcune persone nascono con una capacità intrinseca di affrontare i cambiamenti e le emergenze e proprio in quei casi riescono a dare il meglio di sé ma la resilienza può essere appresa, basta modificare le nostre abitudini.

Un’altra capacità che ci caratterizza come persone resilienti è la capacità di chiedere aiuto se lo sentiamo necessario. Condividere alcune preoccupazioni e paure può essere utile, per vedere alcune situazioni in una nuova prospettiva e con la giusta distanza.

Se senti di vivere una situazione di particolare disagio puoi chiedere ai professionisti della nostra associazione una consulenza on line.

 

Dott.ssa Simona Di Giulio, Psicologa

ASSOCIAZIONE SCACCIAPENSIERI

cell. 379 1732221

mail. scacciapensieripavona@gmail.com

sito. assoscacciapensieri.altervista.org

 

 

 

 

Febbraio, tempo di pagelle.
Le pagelle sono attesissime sia dai bambini e ragazzi sia dai genitori, ma spesso altrettanto temute, soprattutto
quando sono in gioco fatiche emotive e difficoltà di apprendimento.
La nostra società, ancor oggi tende a valorizzare un modello “dis-educativo” che considera lo studio come
un’attività volta all’acquisizione di un voto espresso in numeri, quando invece l’esperienza di apprendere potrebbe e
dovrebbe essere per i nostri ragazzi

un’occasione di crescita non solo culturale, ma anche personale.
Ricevere un brutto voto, vederlo nero su bianco, è un’esperienza scoraggiante che spesso mina non solo l’autostima
dei ragazzi, ma sgretola di conseguenza anche il rapporto di fiducia e collaborazione instauratosi tra alunni,
famiglia e scuola.

 

L’errore più comune ed il più dannoso è proprio quello di estendere il vissuto di una insufficienza scolastica anche
alla vita privata, nelle relazioni tra pari, nei rapporti coi genitori, nello sport e negli hobby, fino alla persona,
considerando il voto come giudizio personale sul proprio valore e non più circoscritto in ambito scolastico.

“ Se prendo 4, valgo 4!”

No, non è così! Non siamo i voti che prendiamo, siamo molto di più!
La vita scolastica è fatta di giudizi. Giusto, ma il giudizio di uno, o di pochi, non è indice di ciò che siamo

.
Quali sono quindi gli aspetti che possono favorire nei ragazzi una positiva propensione allo studio, per il
raggiungimento di obiettivi posti e dei propri sogni?

 Avere un dialogo aperto e onesto , da parte dei genitori sulle aspettative e difficoltà dei propri figli;
 Favorire una collaborazione costruttiva con gli insegnanti;
 “Rileggere” le disavventure scolastiche degli alunni come esito di inadeguati metodi di studio;
 Motivare ed incuriosire promuovendo una didattica esperenziale;

Dietro ogni alunno c’è la propria storia, la propria personalità, il proprio stile di apprendimento e le proprie
potenzialità che vanno ben oltre un semplice voto.

Dott.ssa Antonella Greco TUTOR DSA

 

Il percorso di riconoscimento dei DSA: ecco le tappe fondamentali

 

1. La scuola
Quando lo ritiene opportuno, la scuola può attuare degli interventi di identificazione precoce dei casi sospetti e iniziare una attività di recupero didattico immediato. Se le difficoltà persistono la scuola è tenuta a comunicare alla famiglia gli eventuali problemi.

2. La famiglia

Una volta che la famiglia è stata avvertita delle difficoltà, si avvia una richiesta di valutazione.

3. I servizi
I servizi territoriali iniziano un percorso diagnostico tramite una equipe composta da neuropsichiatra infantile, psicologo e logopedista. Una volta effettuata la diagnosi avremo un documento di certificazione diagnostica atto alla tutela del minore.

4. La famiglia

A questo punto la famiglia dovrà comunicare la diagnosi alla scuola.

5. La scuola
La scuola, a questo punto, mette in atto i provvedimenti compensativi e dispensativi previsti dalla legge 170/2010 insieme ad una didattica e una valutazione personalizzate.

 

Corinna Chiodo

Logopedista

 

 

Organizzare un viaggio. Saper stare nella società e nei diversi contesti. Pianificare la strada più breve per tornare a casa.

Attività che svolgiamo quotidianamente, senza prestarci particolare attenzione: queste sono le Funzioni Esecutive.

Si tratta di capacità cognitive che rendono un individuo in grado di eseguire un comportamento finalizzato e adattivo. Più in generale, sono quei processi alla base del problem solving.

Esistono due tipi di Funzioni Esecutive: fredde e calde.

Le prime implicate nella trasformazione delle informazioni, più complesse e quindi più lente. Parliamo di memoria di lavoro, inibizione, pianificazione e flessibilità.

Le seconde riguardano il controllo emotivo e comportamentale, più semplici e quindi più rapide.
Secondo i ricercatori i comportamenti reattivi, aggressivi, dipenderebbero da una incapacità di controllare gli impulsi e sarebbero correlati a una carenza di funzioni esecutive.

L’importanza delle Funzioni Esecutive è testimoniata da molte ricerche.

Si è visto che il loro funzionamento aiuta a predire in età scolare le capacità matematiche e letterarie, a prescindere dal QI (Holmes et al 2008; St Clair- Thompson et al, 2006; Garthercole eAlloway, 2008; Blair e Razza, 2007; Bull e Scerif, 2001).
Numerose ricerche hanno dimostrato l’associazione tra DSA e difficoltà nelle funzioni esecutive.
Anche nel caso dell’ADHD si tende a ridurre il problema a disattenzione e/o iperattività quando si sa da tempo che spesso questi
bambini manifestano deficit nelle funzioni esecutive.
A tal proposito, sono stati messi a punto diversi protocolli che mirano al potenziamento delle Funzioni Esecutive e sono sempre più numerose le ricerche che ne attestano l’efficacia in molti contesti, tra cui quello scolastico.

Dott.ssa Agnese Maddalena Marta Melaranci
Psicologa- Tutor DSA

UNA LODE AL GIORNO…

Una lode al giorno…per fortificare l’autostima in maniera efficace. Questo potrebbe essere il nuovo slogan per quanto riguarda l’educazione dei nostri figli. Infatti mentre i genitori del passato tendevano a lodare poco i loro bambini, convinti che tale atteggiamento potesse essere contro producente per un sano sviluppo, quello a cui assistiamo in questo momento storico è un atteggiamento completamente contrario che tende ad elogiare i bambini in maniera eccessiva. Anche questo però può rivelarsi un comportamento inadeguato e poco efficace in quanto i più recenti studi stanno dimostrando che anche la lode, se fatta in modo sbagliato, può risultare dannosa.

Il bisogno di un figlio di essere elogiato e ricevere l’approvazione da parte degli adulti è un bisogno fondamentale che rappresenta la certezza di avere un prezioso sostegno emotivo da parte delle figure di riferimento. Quindi non bisogna smettere di farlo, ma di imparare a farlo nel giusto modo. I bambini lodati a dismisura potrebbero sviluppare un disturbo narcisistico di personalità che porta la persona ad una profonda insicurezza verso se stessa e le proprie capacità in quanto la loro autostima è dipendente dall’altro. L’obiettivo finale è invece renderli orgogliosi e capaci d’imparare dai loro errori e di avere una solida autostima interna piuttosto che esterna. Amarsi maggiormente per ciò che sono piuttosto che per ciò che fanno.

Accettare anche le imperfezioni

Compito dei genitori dunque, è insegnare ai figli a riprendersi dai fallimenti, ad accettare le loro imperfezioni. Occorre fornire gli strumenti per gestire e tollerare le frustrazioni legate agli insuccessi, che nella vita sono inevitabili, rassicurandoli e mostrandoci sempre disponibili sul piano affettivo, offrendo loro tutto il nostro sostegno. Questa capacità prende il nome di resilienza.

Cos’è la resilienza?

Tale concetto deriva dal mondo della scienza dei materiali, nel quale indica la capacità di un corpo di resistere ad urti improvvisi senza spezzarsi. Per analogia, in psicologia, indica la capacità di una persona di resistere alle difficoltà della vita senza farsi travolgere, la capacità di affrontare situazioni problematiche e complesse senza poi sentirsi stressati ed esauriti, bensì rinforzati e migliorati. Questa si apprende con l’esperienza. E’ necessario iniziare con il diventare consapevoli dei propri limiti e delle proprie potenzialità, per poi imparare ad utilizzare le seconde a sostegno dei primi. Serve accettare le sfide e, quindi, essere disponibili a mettersi in gioco e fronteggiare le difficoltà con positività. Per fare questo è necessario che i genitori pongano maggiore attenzione al processo piuttosto che al risultato raggiunto. Rivolgere il complimento al duro lavoro, alla pratica, alla fatica fatta. Elogiando la perseveranza e la dedizione piuttosto che la capacità. Per questo dire solo o troppo “sei un genio, il miglior calciatore o bravissimo a disegnare” può influenzarlo negativamente facendolo arrivare alla conclusione che, dato che possiede già queste ottime doti, non ha bisogno di sforzarsi troppo. Potrebbero subentrare inoltre la paure di deludere le aspettative dei genitori e portarli ad evitare le situazioni rischiose o ambivalenti, potrebbero altresì rivelarsi limitanti quando, non volendo, i genitori dirigono troppo l’attenzione dei loro figli su queste capacità facendogli erroneamente pensare di essere solo questo, limitando i loro interessi e la visione di loro stessi. Nella vita, ogni tipo di traguardo è una sfida e richiede impegno, quindi meglio elogiare i bambini per le qualità che possono controllare (come l’impegno appunto), affinché considerino le nuove sfide come opportunità per imparare e crescere, nella convinzione che si possa sempre migliorare. Il bimbo o la bimba che si sente continuamente dire ‘come sei brava’ o ‘come sei intelligente’, può perdere il senso della realtà, pensare di riuscire sempre bene in tutto e, di conseguenza, manifestare difficoltà ad accettare gli errori, da cui invece si impara o addirittura potrebbe sentirsi inadeguata quando non riceve il complimento atteso. Le lodi insomma dovrebbero essere “benzina” che motiva ed incentiva al raggiungimento di un obiettivo mentre quello che a volte accade è che diventano fonte di ansia.

Gli elogi…

Gli elogi sono importanti ma vanno motivati e devono essere specifici cosi come i rimproveri che devono essere mirati al comportamento e mai sulla persona per esempio, è meglio non dire al proprio figlio “sei cattivo”, ma “hai fatto una cosa sbagliata’ e spiegargli il perché. È bene quindi sottolineare l’impegno che ha permesso di raggiungere la meta e non solo il risultato, perché altrimenti si rischia di demotivarli, attribuendo il successo a una caratteristica intrinseca, per esempio l’intelligenza, più che alla caparbietà e alla perseveranza. In conclusione quello che è importante è che i bambini si sentano amati a prescindere dai successi o dagli insuccessi. Solo in questo modo cresceremo persone forti e indipendenti dal giudizio degli altri.

Dott.ssa Simona Di Giulio 

Psicologa, Counselor pluralistico integrato

Che cos’è la fibromialgia?

Il termine fibromialgia è composto da tre parole:

  • “fibro” deriva dal greco fibra, proprio ad indicare tutta la struttura fibrosa presente in tendini, legamenti e guaine muscolari;
  • “mi” dal greco muscolo;
  • “algia” dal greco dolore.

Ad oggi la definizione data dalla Comunità scientifica risulta essere questa:

“la fibromialgia è una forma di reumatismo extra-articolare generalizzato, caratterizzato da dolori cronici, rigidità, astenia, nonché da tensione a carico dei muscoli, dei tessuti peri-articolari e delle inserzioni tendinee; si accompagna ad una aumentata e spiccata sensibilità dolorosa in siti anatomici specifici, definiti tender-point”.

Quali sono le possibili cause dell’insorgenza della malattia?

Le possibili cause di questa patologia così ancora sconosciuta, sono diverse e anche gli stessi esperti sono di opinioni contrastanti. Per altre patologie le cause si vanno a ricercare attraverso esami specifici eseguiti in laboratorio purtroppo per la fibromialgia non esiste ancora un esame preso in considerazione che possa aiutare gli esperti.  Nell’insorgenza di questa malattia sembrerebbero entrare in gioco diverse variabili.

 

Variabili psicologiche:

l’aspetto emotivo legato al dolore è sicuramente una componente fondamentale in quanto contribuisce alla creazione del vissuto esperienziale del paziente in termini di associazioni emotive a situazioni e eventi passati che generano risposte ad un comportamento presente. Le variabili psicologiche più note e osservate in pazienti fibromialgici sono rappresentate da una serie di credenze sull’esperienza del dolore, la percezione dell’autoefficacia che il paziente ritiene di avere, le risposte emotive associate, le strategie di coping e alcune variabili di personalità. Questi aspetti sono notevolmente importanti, in quanto ogni persona in base all’esperienza avuta metterà in atto determinati comportamenti di risposta all’evento doloroso e cronico. Potremmo quindi trovare persone che conducono la loro vita normalmente come se nulla fosse accaduto, perseguono obiettivi, continuano ad andare al lavoro mantenendo stabili le loro relazioni sociali; mentre potremmo trovare persone che lasciano le attività lavorative, si chiudono in un guscio emotivo di protezione lasciando che anche i rapporti sociali si deteriorino.  Quest’ultime persone solitamente hanno un basso senso di autoefficacia, si sentono non capaci di fronteggiare il dolore e di mettere in atto una serie di strategie di coping che potrebbero essere salvifiche. Questa situazione genera nel paziente frustrazione, umore tendente al depresso e un generale pensiero di catastrofizzazione. Il pensiero catastrofico è un pensiero negativo che porta il paziente a interpretare ogni evento della sua vita come un evento drammatico, tendendo a giudicare l’esperienza del dolore percepito come un’esagerazione, accompagnandolo ad una sensazione di impotenza in quanto il dolore non sembra poter essere controllato. Il paziente centra tutta la sua attenzione sull’esperienza dolorosa dando origine così ad un’amplificazione del dolore stesso, se si sposta l’attenzione su altri aspetti della vita l’esperienza di dolore viene percepita come meno intensa. Rabbia e stress contribuiscono alla tensione muscolare, quindi saper gestire le proprie emozioni, saperle riconoscere e poterle comunicare, sembrerebbe essere una buona soluzione per diminuire il dolore. Traumi e strategie di coping disfunzionali sono associati ad un umore negativo e altalenante da stati depressivi a lievi riprese del tono dell’umore.

Variabili di personalità:

queste variabili potrebbero essere definite in parole più semplici anche come i tratti caratteriali che una persona mostra di avere. Ad oggi non è stata ancora identificata una personalità fibromialgica, ma si sono notati diversi tratti comuni. I pazienti fibromialgici sembrerebbero essere persone con: bassa autostima e senso di autoefficacia, mancanza di assertività dando precedenza ai bisogni degli altri, scarsa conoscenza e identificazione delle emozioni, eccessivo bisogno di riconoscimento e consenso da parte degli altri, tendenza ad andare incontro ad esperienze di stress emotivo, difficoltà nel provare emozioni positive, elevato senso del dovere.

Variabili socioculturali:

la rete sociale del paziente fibromialgico è fondamentale perché può contribuire ad alleviare o migliorare i sintomi. Il contesto famigliare non deve né sostituirsi al paziente nei compiti famigliari né deresponsabilizzarlo. Dovrebbe essere di supporto, contribuendo anche sul piano affettivo ed emotivo aiutandolo ad esternare il proprio vissuto, cercando di rendere il suo pensiero meno catastrofico dando una chiave di lettura positiva, motivandolo al raggiungimento di obiettivi chiari e misurabili, in modo da poter aumentare il senso di autoefficacia. Anche il contesto lavorativo può influenzare notevolmente l’andamento della percezione del dolore. Un ambiente stimolante porterà al raggiungimento di obiettivi che contribuiranno all’aumento dell’autostima del paziente. Un ambiente ostile, contribuirà ad aumentare il senso di frustrazione e incapacità. Il modello bio-psico-sociale a contribuito all’analisi di queste variabili, che hanno permesso di porre attenzione non soltanto alla malattia in termini medici di causa-effetto, ma di una visiona più ampia che abbraccia l’individuo nella sua totalità, nella quale ogni parte, variabile, può contribuire al vissuto di malattia e anche all’insorgenza della stessa.

 

Come può quindi un percorso di Counseling aiutare un paziente con diagnosi di fibromialgia?

 

La fibromialgia deve essere considerata in un’ottima integrata mente e corpo. Il counseling umanistico integrato è una relazione d’aiuto e di sostegno emotivo che si occupa di salutogenesi, considerando il cliente come un’unione tra mente e corpo. Mira a rispondere a bisogni specifici dell’individuo aiutandolo a porre obiettivi misurabili e raggiungibili in poco tempo relativi ai diversi ambiti della vita. Valorizza le risorse positive dell’individuo, andando a lavorare su una buona consapevolezza di sé e accettazione delle difficoltà tramite la gestione e il riconoscimento delle proprie emozioni. Aiutando il proprio cliente ad aumentare il proprio senso di autoefficacia ed autostima.

 

Quali altri interventi possono essere efficaci per un paziente fibromialgico?

 

Molto efficace si è dimostrata anche la terapia cognitivo-comportamentale che andrebbe a lavorare su schemi interni appresi dal paziente sin da quando era bambino, modificandoli e aiutandolo nel riconoscimento degli stessi al fine di migliorare la propria qualità di vita. Oltre ai vari percorsi a carattere psicologico essendo una patologia che unisce la mente e il corpo vanno sicuramente considerate come terapie efficaci: sia quella farmacologica rispetto ad antidolorifici, miorilassanti e via dicendo così come fisioterapia, yoga e tecniche di rilassamento.

 

“Quando qualcuno ti ascolta davvero senza giudicarti, senza cercare di prendersi la responsabilità per te, senza cercare di plasmarti, ti senti tremendamente bene. Quando sarai stato ascoltato ed udito, sei in grado di percepire il tuo mondo in modo nuovo ed andare avanti. E sorprendente il modo in cui problemi che sembravano insolubili diventano risolvibili quando qualcuno ti ascolta”

Carl Rogers

 

Dott.ssa Sharon Di Nardi

Counselor, Laureata in psicologia, Tutor DSA

 

 

FONTI UTILIZZATE

JOHANN A. BAUER, Fibromialgia, Napoli, Edizioni scientifiche Italiane,2009.

ANDREA GRIECO, fibromialgia finalmente buone notizie, Nuove Esperienze, Pistoia 2019.

CIRO CONVERSANO; LAURA MARCHI, Vivere con la fibromialgia, Trento, Erikson, 2018.

FEDERICA M.- ROCCO ALDO L., Mi ascolto, Mi ascolti, MARP EDIZIONI, 2019.

 

 

I DSA sono disturbi del neurosviluppo che riguardano la capacità di leggere, scrivere e calcolare in modo corretto e fluente che si manifestano con l’inizio della scolarizzazione.
E’ importante notare come il livello intellettivo sia del tutto normale.
In base al tipo di difficoltà specifica che comportano, i DSA si dividono in:

– Dislessia

– Disortografia

– Disgrafia

– Discalculia

I DSA, hanno un forte impatto  a livello individuale (abbassamento del livello curricolare o prematuro abbandono scolastico).
Incidono anche sul sociale (minori competenze sociali e/o lavorative) che nell’emotivo (possibile insorgenza di disturbi concomitanti quali ansia, depressione…)

Negli ultimi anni un numero crescente di ricerche hanno evidenziato come la dislessia sia un fenomeno  complesso.E’ il risultato di molteplici fattori, in cui aspetti genetici ed ambientali interagiscono profondamente.

Decorso

I DSA costituiscono un disturbo cronico ad espressione diversa in relazione all’età e alle richieste ambientali.
Frequentemente un disturbo dell’appendimento (DSA) può manifestarsi assieme ad altri disturbi specifici dell’apprendimento (comorbilità interna). Altre volte con altri disturbi psicopatologici come il disturbo da deficit di attenzione con/senza iperattività, i disturbi della cordinazione motoria, ansia, depressione e i disturbi della condotta.

Essendo un disturbo di natura neuroevolutiva, questo accompagnerà vostro figlio per tutta la sua vita.
Tuttavia grazie a interventi di potenziamento e training mirati è possibile ridurre le difficoltà ad esso legate.

Si possono migliorare sia le abilità puramente strumentali (lettura, scrittura, calcolo) sia abilità quali autoefficacia, motivazione e senso di competenza. Vista la grande plasticità cerebrale in età evolutiva, tanto più l’intervento sarà tempestivo maggiori saranno i risultati ottenibili.
Per questo motivo risulta essere fondamentale l’individuazione precoce dei fattori di rischio per l’insorgenza di un DSA, tramite il monitoraggio delle abilità di base necessarie per un corretto apprendimento delle abilità di letto-scrittura e del calcolo già alla fine della scuola dell’infanzia.

Criteri diagnostici

A) Difficoltà nell’apprendere e utilizzare abilità scolastiche inerenti lettura e comprensione, ortografia, abilità numeriche e di calcolo. Queste difficoltà devono persistere da almeno 6 mesi nonostante il bambino abbia usufruito di interventi scolastici mirati al loro recupero.

B) Il livello raggiunto nella lettura e nella competenza ortografica è carente ed al di sotto di quello che ci si aspetta rispetto all’età cronologica.
Inoltre esso interferisce in modo significativo con le prestazioni scolastiche o di vita quotidiana.

C) Le difficoltà d’apprendimento iniziano nell’età scolare . Esse potrebbero manifestarsi in modo chiaro solo quando le richieste scolastiche vanno oltre il livello di capacità individuale. Ad esempio quando è richiesta maggior rapidità o il carico di studio è molto alto.

D) Le difficoltà d’apprendimento non sono spiegate da disabilità intellettiva, deficit di acuità visiva o uditiva, deficit di natura mentale o neurologica, fattori di natura psicosociale, non padronanza del linguaggio con cui è veicolata l’istruzione scolastica, o istruzione scolastica inadeguata.

 

Andrea Giangrande

Psicologo dello sviluppo, Esperto in Psicodiagnosi

La salute, definita dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) nel 1946 come “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia“, viene considerata un diritto e come tale si pone alla base di tutti gli altri diritti fondamentali che spettano alle persone. In tale contesto, la salute viene considerata più come un mezzo che un fine e può essere definita come una risorsa di vita quotidiana che consente alle persone di condurre una vita produttiva a livello individuale, sociale ed economico.

COS’E’ LA NATUROPATIA?

La Naturopatia è una disciplina, non sanitaria, che si basa sulle scienze umanistiche e sulle scienze naturali.

Si occupa del trattamento e della promozione dello stato di salute,  attraverso l’uso di metodi e modalità che favoriscono il processo di auto‐guarigione dell’organismo (Vis Medicatrix Naturae) , il trattamento naturale di tutta la persona, della personale responsabilità per la propria salute, l’istruzione per promuovere la salute attraverso un adeguato stile di vita.

La naturopatia ricerca, individua e tratta la causa fondamentale del disagio,

tratta l’intera persona usando un approccio individualizzato e insegna i principi di un sano stile di vita e della prevenzione salutistica. La naturopatia è parte dell’insieme dei sistemi e delle discipline

esercitate dagli operatori non medici nell’ambito delle “medicine non convenzionali”.

 L’uomo come essere vivente è inserito in un contesto ambientale, sociale ben preciso. Ogni sintomo, sia esso fisico, sia psichico ed emotivo, ma anche energetico e spirituale, sono la materializzazione di processi innescati dal nostro corpo al fine di comunicarci con chiarezza un messaggio da decodificare; anche i sintomi che apparentemente non si vedono, ma che la persona percepisce come ostacoli alla sua espressione di vitalità in ambito sociale, familiare, lavorativo, sono per la naturopatia un’opportunità perché permette al naturopata, insieme alla persona, di risalire alla causa fondamentale del disagio. La naturopatia si occupa del trattamento e della promozione dello stato di salute.

Il naturopata non vuole in nessun modo sostituirsi a figure professionali quali il medico, lo psicologo, ecc. anzi ritiene ogni percorso valido e di aiuto al processo di guarigione; tuttavia si avvale di una visione che comprende i diversi piani dell’essere umano, quali quello fisico, psico-emotivo, energetico e spirituale (non si intende come religiosità, bensì la spinta spirituale che aleggia in ognuno di noi). Il percorso naturopatico utilizzerà un approccio individualizzato e specifico per la persona, studiato e personalizzato, tenendo conto della sua costituzione, del suo modo di essere e delle sue necessità, senza sottovalutare i suoi bisogni primari e di sopravvivenza. Il naturopata non cura, bensì si occupa della persona nella sua interezza, andando alla radice dei problemi, disagi o disfunzioni. Per usare una metafora, il naturopata non andrà a tagliare i rami secchi o curare le foglie malate, ma mirerà a lavorare sulla radice dell’albero, così che possa la persona possa nutrirsi nuovamente ed autonomamente di tutto quello che la natura offre.

COME OPERA IL NATUROPATA?

Il percorso naturopatico utilizzerà un approccio individualizzato e specifico per la persona, studiato e personalizzato, tenendo conto della sua costituzione, del suo modo di essere e delle sue necessità, senza sottovalutare i suoi bisogni primari e di sopravvivenza. Il naturopata non cura, bensì si occupa della persona nella sua interezza, andando alla radice dei problemi, disagi o disfunzioni. Per usare una metafora, il naturopata non andrà a tagliare i rami secchi o curare le foglie malate, ma mirerà a lavorare sulla radice dell’albero, così che possa la persona possa nutrirsi nuovamente ed autonomamente di tutto quello che la natura offre.

IN COSA CONSISTE LA “CONSULENZA NATUROPATICA”?

La prima consulenza naturopatica si articola in diverse fasi, dura circa un’ora e mezza, consiste in:

– Il colloquio e raccolta dati utili al fine di fare un’attenta osservazione dello stato di salute della persona, inteso come completo benessere integrato a livello fisico, mentale, emotivo ed energetico globale. Ogni persona rappresenta un “unicum”, con risorse vitali e bisogni assolutamente individuali, da considerare nella sua complessità.

– Valutazione iridologica: attraverso l’iridologia si andrà ad osservare lo stato funzionale della persona, lo stato di salute globale. L’Iridologia è un metodo di analisi accurato, non fa diagnosi di patologie. L’osservazione dell’iride ci consente di individuare la struttura funzionale della persona, le zone di riflesso relative ai nostri  organi, tessuti ed apparati. Consente di studiare la costituzione di appartenenza, i tratti dell’ereditarietà genetica, di evidenziare le aree organiche in deficit o in sovraccarico permettendo di rivelare le cause nascoste dei disturbi e i settori cui dedicare maggiore attenzione.

– Trattamento mirato e personalizzato in base alle necessità, definizione delle priorità e delle modalità di intervento; consigli su come migliorare lo stile di vita.

– La scelta dei rimedi e dei trattamenti naturali: sulla base dell’analisi effettuata si consigliano i migliori prodotti e integratori naturali e le metodiche di riequilibrio bio-energetico più utili al caso specifico.

– L’informazione corretta e l’educazione alla salute. Comprendere le cause dei disturbi e la conoscenza degli elementi che possono migliorare o peggiorare il nostro stato di salute rappresentano il primo passo verso la possibilità di recupero delle situazioni di disagio. Essere responsabili e imparare passo passo a porre l’attenzione su noi stessi e sul proprio benessere. La correzione consapevole delle abitudini dannose e l’impostazione di nuove linee guida, più in sintonia con le nostre reali esigenze, saranno il vero traguardo per ottenere i risultati più importanti e più duraturi.

– Sostegno lungo il percorso (Follow-up) In seguito alla consulenza il Naturopata farà da riferimento per eventuali chiarimenti e soprattutto per seguire e verificare nel tempo l’efficacia del percorso intrapreso e i risultati ottenuti.

Sandra Morico, Naturopata

 

La società odierna è una società in continua trasformazione, i cambiamenti che si stanno osservando a livello sociale vedono l’evolversi delle strutture di potere esistenti e questo determina anche un modo diverso in cui si tende ad entrare in relazione con l’altro. Queste trasformazioni vedono coinvolti contesti differenti, come le famiglie, fino ad arrivare alle scuole e a tutte quelle situazioni fortemente significative per lo sviluppo dell’individuo. È necessario, per questo, poter comprendere i bisogni educativi, formativi e sociali del mondo giovanile, per non trascurare aspetti che risultano fondamentali al fine di favorire cambiamenti efficaci e una crescita positiva.

La scuola, così come tutte le realtà formative, risultano i contesti ideali per imparare ad essere cittadini della propria comunità. Tali contesti hanno un enorme potenziale, ossia quello di essere in grado di dare “un orientamento di vita”, promuovendo negli adolescenti la conoscenza di sé e delle proprie capacità, nei quali è possibile acquisire una visione attiva del proprio “essere nel mondo” (Putton, 1999).

L’educazione socio-affettiva assume questa visione dinamica dell’individuo e si focalizza proprio sullo sviluppo di una serie di abilità necessarie per la crescita, gli adolescenti infatti attraverso questi percorsi possono sperimentare modalità relazionali diverse, fare esperienza di sé, conoscendo aspetti della propria personalità fino a quel momento sconosciuti.

L’educazione socio-affettiva viene considerata, per questo, una vera e propria strategia di empowerment e di promozione del benessere, proprio perché è orientata allo sviluppo di capacità quali il riconoscimento e l’espressione dei bisogni e delle emozioni, ma anche alla promozione di rapporti positivi all’interno dei vari contesti di vita.

COS’È L’EDUCAZIONE SOCIO-AFFETTIVA

Lang (1994) definiva l’educazione socio-affettiva, come quella parte del percorso educativo, concentrato sui sentimenti, atteggiamenti, emozioni e credenze degli studenti, che permette uno sviluppo sia personale che sociale degli adolescenti, al fine di promuovere la loro autostima e il loro “sentirsi bene nella propria pelle.”

Dunlop (1984), in “The Education of Feeling and Emotion”, afferma che questi programmi possano sostenere i giovani da un punto di vista emozionale, gli adolescenti imparano ad attribuire senso a quelle emozioni ancora in via di sviluppo, iniziano ad assumersi le proprie responsabilità, riuscendo così a gestire attivamente la propria vita emotiva.

Putton (1999) la ritiene una metodologia che mira allo sviluppo dell’autostima degli adolescenti e alla crescita delle competenze relazionali, comunicative e sociali; loro imparano ad affrontare i problemi e a prendere decisioni in modo creativo, questo avviene perché alla base del loro comportamento vi è una nuova “pensabilità positiva”.

Secondo alcuni studi, esperienze di educazione socio-affettiva possono migliorare e sviluppare negli adolescenti un concetto di sé positivo, poiché attraverso questi percorsi vengono trasmesse diverse abilità, come la capacità di ascolto, di comunicazione, di adattabilità, la capacità di lavorare bene in gruppo, favorendo inoltre uno stile cooperativo, negoziale e personale (Johnson, 2001).

IL METODO INTEGRATO

Donata Francescato ha adattato al contesto italiano le metodologie che in Inghilterrae negli Stati Uniti venivano usate in maniera singola e settoriale, proponendo un metodo integrato. La peculiarità del programma presentato dalla Francescato sta nell’aver usato tre diverse modalità di educazione socio-affettiva, da poter utilizzare insieme o separatamente. L’attenzione è stata rivolta:

  • al rapporto insegnante-classe, dove è stato usato il metodo Gordon rielaborato e riadattato per la cultura italiana, volto all’instaurarsi di un buon rapporto tra insegnanti e allievi;
  • al rapporto dei bambini in gruppo, offrendo loro uno spazio relazionale dove potersi conoscere e confrontare, reso possibile attraverso la tecnica del “circle time”; l’obiettivo è di far vivere agli adolescenti un’esperienza di gruppo che permetta una maggiore conoscenza tra loro, potendosi confrontare su argomenti di interessi comune e nello stesso tempo far sì che si acquisiscano maggiori capacità di espressione dei propri pensieri e delle proprie opinioni, di mediare tra diversi punti di vista, di ascoltare, di facilitare la partecipazione dei membri;
  • comprensione del bambino e dei suoi vissuti, delle sue sensazioni e sentimenti; attraverso degli esercizi psicomotori è possibile sviluppare le capacità dei ragazzi e delle ragazze di entrare in contatto con sé stessi, potendo riconoscere le proprie emozioni e sviluppare una maggiore creatività personale.

Il metodo integrato è stato ampliamente utilizzato nelle scuole primarie, le ricerche ci dicono che questo possa essere proposto anche nelle scuole secondarie di primo grado (Francescato, Putton, Cudini, 2001) o ad adolescenti di quella fascia di età che si trovano a sperimentare esperienze gruppali.

UNO STRUMENTO EFFICACE: IL CIRCLE TIME

Alla fine degli anni Sessanta, in California, si è diffusa un’attività chiamata “magic circle time”, dove insegnanti ed alunni seduti in cerchio iniziavano a discutere e a confrontarsi su argomenti proposti dagli stessi studenti o dalla loro insegnante. Il circle time ha rinnovato il tradizionale modo di organizzare e strutturare l’ambiente di una classe, risulta infatti uno dei momenti più importanti dell’intervento socio-affettivo, ma potrebbe essere facilmente utilizzato anche come momento comune e integrato all’interno della vita scolastica e non solo. Durante il circle time quei ruoli che organizzano il tradizionale contesto scolastico vengono messi sullo sfondo, non ci sono più studenti e formatori, ma partecipanti e facilitatori. Anche il setting subisce una trasformazione, non ci sono più banchi e cattedre, ma sedie disposte in cerchio e la tipica comunicazione discendente viene sostituita da una comunicazione circolare, che facilita l’instaurarsi di un clima di ascolto e di astensione da critiche, giudizi e valutazioni. I ragazzi e le ragazze riuniti durante il circle time diventano un vero e proprio gruppo di discussione, caratterizzato da una bassa gerarchia, di tipo formale, con il principale obiettivo di favorire un clima amichevole e collaborativo fra loro (Francescato, Tomai, Mebane, 2004).  

Utilizzando questa metodologia sarà possibile approfondire una conoscenza reciproca, sarà facilitato il processo di scambio di opinioni e l’instaurarsi di rapporti interpersonali più gratificanti; grazie al circle time infatti è possibile riconoscere il valore positivo delle variabili relazionali.

Nelle diverse ricerche in cui il circle time è stato applicato, si è osservato il contributo positivo di questo strumento in termini di sviluppi affettivi ed emotivi, maggiori capacità di accettazione delle differenze individuali, nonché un miglioramento delle relazioni interpersonali.

Il circle time risulta, inoltre, un valido strumento, in grado di promuove comportamenti prosociali, migliorando i rapporti tra adolescenti, riducendo l’esclusione, favorendo l’aiuto reciproco e promuovendo anche una maggior autostima e consapevolezza di sé, dei propri sentimenti e dei sentimenti altrui (Karpinnen, Katz, & Neill, 2005)

Anche Vasileiou (2002) in “Affective Education in the Primary Phase: Some Comparative Perspectives”, parlando di alcuni programmi di educazione affettiva che hanno avuto luogo in alcune città londinesi e greche, descrive la funzionalità di questo strumento. Il circle time viene definito come un’attività strutturata che coinvolge tutti, dove è possibile esplorare questioni di significato personale e sociale. Vasileiou (2002) considera il circle time uno strumento particolarmente utile per discutere delle relazioni e per risolvere i conflitti, gli adolescenti inoltre si sentono maggiormente coinvolti nel processo decisionale, sentono infatti di avere più voce in capitolo in merito agli aspetti della vita scolastica, familiare e sociale.

Durante il circle time ognuno può condividere il proprio punto di vista sul tema scelto, dando avvio ad una discussione che si conclude con una riflessione generale su quanto emerso. Al fine di garantire la partecipazione di tutti, fin dall’inizio, devono essere stabilite un numero minimo di regole di base, che dovranno essere da tutti rispettate come, ad esempio, il non interrompere chi sta parlando, il non giudicare quanto viene detto ed ascoltare con attenzione il contributo di ogni studente. 

L’impiego del circle time nei contesti scolastici ha avuto un notevole successo nei termini di esiti positivi, questo ne definisce le sue forti potenzialità, uno strumento che è in grado quindi di rafforzare la coesione del gruppo e migliorare la definizione delle relazioni presenti in esso.

Dalla letteratura emerge come il circle time possa essere utilizzato anche da operatori esterni. Le ricerche infatti confermano che psicologi e pedagogisti hanno ottenuto risultati soddisfacenti. 

LA VERA FATICA DEGLI ADULTI

L’educazione socia-affettiva risulta essere quindi un valido strumento, utile non solo nei contesti scolastici, ma anche in tutte le attività di gruppo dove l’obiettivo è quello di lavorare sulle abilità relazionali e personali dei ragazzi e delle ragazze che vi partecipano. È un programma educativo che mette al centro “la persona nel contesto”, che tiene conto delle sue emozioni, dei sentimenti, dei pensieri, delle azioni messe in atto e di ciò in cui crede. Janus Korczack parlava di educazione e affermava di come nel rapporto tra colui che educa e il fanciullo, l’adulto non dovrebbe mai pensare che per raggiungere il bambino serva “mettersi al suo livello, abbassarsi, curvarsi, piegarsi e farsi piccolo”, al contrario bisognerebbe “elevarsi all’altezza dei loro sentimenti”. È questa la vera fatica, “sta nell’impegno di distendersi, allungarsi, alzarsi in punta di piedi per non ferirli”, a cui sono chiamati adulti, famiglie, insegnanti e operatori. Ogni cosa, qualsiasi gesto è accompagnato da emozioni, per questo motivo è necessario occuparsene, poiché rappresenta il primo passo importante all’interno di un percorso più complesso capace di promuovere l’empowerment degli adolescenti (Francescato, 2012).

Dott.ssa Caterina Minopoli

Psicologa e Tutor DSA

BIBLIOGRAFIA

Dunlop F., The Education of Feeling and Emotion, London: Allen & Unwin, 1984

Francescano D., Putton A., Cudini, S., Stare bene insieme a scuola. Strategie per un’educazione socio-affettiva dalla materna alla scuola media superiore, Carocci Editore, 2001

Francescato D., Mebane M., Tomai M., Benedetti M., Rosa V., Promoting social capital, empowerment and counter-stereotypical behavior in male and female students in online CSCL communities, In: H. Cuadra Montiel (Ed.). Globalization, book 1, Intech, 75-108, 2012

Francescano D., Tomai M., Mebane E.M., Psicologia di comunità per la scuola l’orientamento e la formazione. Esperienza faccia a faccia e on line, Il Mulino, Bologna 2004

Johnson K., Integrating an affective component in the curriculum for gifted and talented students. Social skills enhancement, Gifted Child Today Magazine, 2001

Karpinnen S., Katz Y., & Neill S., Theory and pratice in affective education, Helsinki, Finland: University of Hensinki 2005

Lang P., Report on Affective Education in Europe, Warwick University, May 1994

Putton A., Empowerment a scuola: metodologie di formazione nell’organizzazione educativa, Carocci Editore, Roma 1999

Vasileiou K., Affective Education in the Primary Phase: Some Comparative Perspectives, University of Warwick, Institute of Educatione, September 2002,

Tutti noi siamo vittime di fattori di stress quali la mentalità consumistica, la pressione psicologica per aumentare il nostro rendimento, fattori che hanno anche, in forte misura, risvolti negativi nella vita familiare. Questa competività, vissuta da noi adulti, mette costantemente sotto pressione anche i bambini, ed alcune conseguenze di questi influssi fortemente negativi possono essere, disturbi del sonno, problemi scolastici, dalle paure irrazionali fino ai problemi di salute.

            Il professor Johann Heinrich Schultz, neurologo berlinese, ha elaborato la tecnica del Training Autogeno negli anni venti, definendola una “meditazione per gli occhi occidentali”. Il T.A. di Schultz può essere appreso come un percorso verso un miglioramento dello stato di coscienza da una qualunque persona psicologicamente sana. Offre una semplice possibilità, ovvero quella di attivare le potenzialità di guarigione presenti nella persona, grazie ad un rilassamento profondo del corpo e della mente indotto consapevolmente.   

Cos’è il Training Autogeno

            Training Autogeno letteralmente significa “allenamento autogenerato”. Per “allenamento” si intende l’apprendimento graduale di esercizi sistematici e ripetuti che, in questo caso, riguardano sia l’aspetto somatico (o fisico) sia quello psichico; per “auto generato”, dal greco autos= da sé, e genos = che si genera, intendiamo che questo tipo di allenamento ha la caratteristica  di generarsi da sé, senza quindi dover essere diretto da altri. Il pensiero autogeno (T.A.), maturato ai primi del ‘900 dagli studi sull’ipnosi di Bernheim e Charcot in Francia, ed elaborato dallo psichiatra tedesco J. Schultz intorno agli anni ’30, è essenzialmente una tecnica di rilassamento, utilizzata anche per curare i disturbi organici e psichici.

L’obiettivo di Schultz era quello di rendere il paziente meno vincolato alla dipendenza dal terapeuta e divenire lui stesso autore del proprio cambiamento e del proprio benessere, adattando così il metodo alle proprie esigenze.

I concetti principali su cui si basa il T.A sono due :  

1) La psiche agisce sul corpo. Un’immagine o un pensiero, espressi in formule verbali interne, inducono modificazioni somatiche reali e quantificabili.  

2) Lasciar accadere . L’atteggiamento psichico da assumere è quello della passività, ovvero rappresentarsi mentalmente le formule dell’esercizio,  e lasciare che esse agiscano autonomamente. Un atteggiamento attivo della volontà impedirebbe, sin dall’inizio, la corretta realizzazione degli esercizi stessi.

La tecnica di Schultz si basa su un lungo percorso: partendo da un rilassamento a livello muscolare si riesce, dopo un certo periodo di Training, ovvero di esercitazioni, ad intervenire positivamente sulla funzionalità muscolare, sull’attività cardiaca e polmonare, sul sistema neuro-vegetativo. La finalità è controllare e ripristinare il funzionamento di organi sui quali si scaricano le tensioni e i conflitti psichici.

La concentrazione passiva

            Gli esercizi del T.A. hanno lo scopo di farci raggiungere lo stato autogeno, vale a dire una condizione di passività assoluta, realizzata nell’indifferente contemplazione di quanto spontaneamente accade nel nostro organismo e nella nostra mente. E’ importante tener presente, come dice lo stesso Schultz, l’atteggiamento che si deve assumere è quello di una passiva e indifferente  concentrazione psichica.

Ci si allena all’incontro con se stessi, ad ascoltare ciò che nasce spontaneo, a non lasciarsi suggestionare né dagli altri né da se stessi, a non dare comandi al proprio essere psicofisico, a non avere aspettative, a non dare giudizi di valore alle risposte, ad accogliere con curiosità ogni risposta, ad accettare qualsiasi cosa accada quando; “lascio che accada”; ci si allena cioè ad essere una imparziale cinepresa puntata su se stessi. E’ la strada aperta verso l’inconscio.

Dobbiamo essere rilassati durante ogni esercizio, ed essere più passivi possibile per far si che le sensazioni che vogliamo provare si manifestino; viceversa, più le vogliamo provare, e più queste difficilmente si riveleranno.

Nelle associazioni libere lo stato di coscienza è di “veglia passiva”, e l’atteggiamento di fondo è “lascio che accada”: non si seguono le direttive della razionalità, ma si lascia che accada una associazione, data da collegamenti inconsci. Lo stato di coscienza, che si verifica in momenti molto brevi nelle associazioni libere, può, mediante un apposito allenamento, mantenersi a lungo permettendo così a lunghissime sequenze di “immagini” e di associazioni inconsce o sub-consce di emergere in perfetto stato di coscienza; è ciò che si ottiene con l’allenamento con il Training Autogeno, quando e’ appreso come veramente autogeno.

Dopo aver preso la posizione corretta per iniziare il T.A., si comincia a “guardare” mentalmente tutto il proprio corpo: concentrandosi su tutte le sue parti, cominciando dai muscoli dei piedi per arrivare alla testa (o viceversa), il tutto lentamente, fermandosi di più su quei muscoli che sembrano più tesi al fine di rilassarli, e ripetere il tutto “osservando” come questi si rilassano . Prima di concludere gli esercizi è importante evitare di svegliarsi di soprassalto, giacché in questo momento ci si trova con una bassa frequenza cardiaca,  come se si fosse in uno stato di “sonno”, pertanto non è gradevole svegliarsi rapidamente, così da evitare sensazioni fisiche spiacevoli.

La collaborazione

            Prima di iniziare con la terapia, è necessario accertarsi che l’individuo sia motivato e ben disposto verso il T.A. attraverso un’ accurata informazione concreta e oggettiva.

È importante ricordare che esistono diversi atteggiamenti verso questa terapia. Per esempio, ci sono persone che sono curiose di provarla, magari dopo le testimonianze di amici e conoscenti, pur, in realtà, non sapendo bene di cosa si tratta; oppure ci sono individui che trovano questo metodo troppo complicato, che non hanno tempo e quindi preferiscono prendere medicinali per combattere il disturbo. Si potrebbe, per questo, ricordare che spesso le persone vanno dal medico anche se non sempre hanno effettive patologie, ma lo cercano semplicemente come alibi per stare bene. Nel T.A. è indispensabile che il soggetto capisca di essere egli stesso artefice della propria guarigione, e non il medico, il quale, invece, ha solo la funzione di “guida”.

Le potenzialità e i limiti del metodo

      Il T.A. non è una tecnica onnipotente che risolve tutte le patologie psicosomatiche, ma una tecnica che ha un’efficacia come dei limiti.

La vita ci mette di fronte a frequenti stati di tensione che si possono cronicizzate, con il passare del tempo, in relativi disturbi fisici e psichici. Spesso, per esempio, è proprio lo stress di ogni giorno che scompensa i nostri organi interni (stomaco, cuore, polmoni, ecc..). Il Training Autogeno può facilitare l’autoregolazione dell’attività di questi organi migliorando lo stato di salute.

      Per molto tempo si è ritenuto che il Sistema Nervoso Autonomo (SNA) fosse fuori dal controllo delle persone, perché lontano dalla loro coscienza, ma il T.A. è la dimostrazione di come con l’esercizio noi possiamo intervenire anche sul Sistema Nervoso Autonomo e contribuire al mantenimento della nostra salute.

      Il Training Autogeno è molto utile, inoltre, per tutti coloro che desiderano equilibrare la propria personalità, avere una minore partecipazione emotiva agli eventi quotidiani della vita, conoscere se stessi, aumentare la propria concentrazione, prendendosi cura di sé  dal punto di vista psicofisico.

      Schultz, riporta che con il Training Autogeno si possono raggiungere:

1) Riposo: il T.A. puà sostituire in alcuni casi il sonno, consentendo un immediato e  profondo recupero di energie.

2) Autoinduzione alla calma: il T.A. fa acquisire un atteggiamento più tranquillo soprattutto di fronte a situazioni critiche, attenuando le reazioni emotive.

3) Autoregolazione delle funzioni corporee normalmente “involontarie”: il T.A. aiuta a regolare le funzioni vegetative come la circolazione sanguinia, il battito cardiaco, la respirazione o la digestione.

4) Miglioramento delle prestazioni psichiche (memoria, ricordi) e fisiche.

5) Eliminazione del dolore: il T.A. permette al dolore di non comparire o di presentarsi in forma attenuata.

6) Autocritica e autocontrollo (tramite l’introspezione): il T.A. aiuta a rinforzare i tratti della personalità come il coraggio e determinazione per affrontare più serenamente i problemi della vita che si presentano quotidianamente.

      UN AUMENTO DELLA CONSAPEVOLEZZA…

Il successo, come in ogni psicoterapia, dipende dalla collaborazione del paziente, dai suoi sforzi e dal suo impegno, ma soprattutto dalla sua vera motivazione ad apprendere questa tecnica. Il risultato finale del Training Autogeno non consiste nel sapere di più, o nel saper fare di più, ma nel saper essere in modo diverso. È infatti un metodo che consente alle persone di sperimentare nuovi processi psichici per sentirsi più consapevoli e padroni di sé.

      Esistono, tuttavia, delle situazioni nelle quali la tecnica di Schultz va applicata con cautela o addirittura sconsigliata. In alcuni casi, infatti, quando e’ presente una condizione che può invalidare l’azione del T.A., o interferire con una malattia già in atto, e’ opportuno cambiare e addirittura omettere un esercizio. Per esempio, se una persona soffre di emorroidi, potrebbe mal tollerare l’esercizio del calore, che come si sa influisce negativamente su questo particolare disturbo. Nel caso in cui, invece, una persona sia stata vittima di un grave trauma cranico, si deve evitare del tutto l’esercizio della fronte, e così via. Inoltre, come accennato prima, in alcune situazioni il T.A. non è solo sconsigliabile, ma addirittura improponibile: ciò vale nei casi di grave disturbo psichico in stato di scompenso o di ritardo mentale, per patologie mediche molto serie, come l’infarto del miocardio o l’ipertensione grave su base organica, non causata cioè da ansia e stress.

      Ulteriori casi che sconsigliano l’uso di questa terapia come per esempio per gli ipocondriaci in quanto essi tendono a cercare continuamente dei sintomi sul proprio corpo; ciò vale anche per gli ossessivi che elaborerebbero da subito i vari esercizi in maniera eccessivamente metodica e ripetitiva.

      Un’ ultima annotazione va fatta circa i cosiddetti soggetti “refrattari”, che, pur godendo di condizioni fisiche e psichiche buone, da garantire una buona riuscita del T.A., si allenano con svogliatezza,  poca costanza e  non raggiungendo così nessun risultato.

Dott.ssa Pamela Nicotra

Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale